Le recenti conclusioni della Relazione sulla prevenzione della corruzione e sulla trasparenza nei Comuni sciolti per mafia, approvata dalla Commissione antimafia il 26 aprile 2022 [1], impongono alcune riflessioni su un tema che negli ultimi anni ha impegnato Istituzioni, operatori ed interpreti ponendosi al bivio di opposte visioni, e costituendo spesso terreno di crescita di professionisti dell’anticorruzione.
All’esito dell’esame dei dati su trasparenza e anticorruzione relativi ai comuni sciolti per infiltrazioni mafiose nell’anno 2020, la Commissione antimafia annota che “può certamente affermarsi che gli aspetti che il legislatore ha inteso valorizzare e disciplinare, sia con la legge n. 190 del 2012 che con il d.lgs. n. 33 del 2013, risultano alquanto trascurati dalle gestioni commissariali e ciò nonostante fossero state stigmatizzate in parecchi decreti di scioglimento le omissioni e carenze delle cessate amministrazioni proprio con riguardo a tali profili”.
La Relazione evidenzia, in primo luogo, che “le molteplici previsioni normative apprestate dall’ordinamento per prevenire i fenomeni corruttivi…sono ampiamente trascurate se non addirittura obliterate, non soltanto prima dello scioglimento ma anche successivamente nel corso del periodo di gestione straordinaria”.
Tali carenze riguardano, in primo luogo, l’attuazione degli obblighi di trasparenza: la Relazione annota che nella sezione organizzazione del 47% dei comuni oggetto di verifica mancano i dati degli organi di indirizzo politico ovvero risultano ancora quelli relativi agli organi elettivi oggetto del provvedimento dissolutorio; diffuse omissioni e ritardi nell’aggiornamento riguardano la sezione dei pagamenti e quella delle gare e dei contratti; fa riflettere, infine, l’affermazione che il 74% dei comuni non ha pubblicato -come dispone l’art. 48, comma 3, lett. c) del codice antimafia- l’elenco dei beni confiscati e trasferiti al patrimonio comunale.
Annota la Commissione antimafia come “pur risultando evidente che le problematicità riscontrate sono da ricondurre alla fase antecedente allo scioglimento degli organi eletti, è tuttavia necessaria una riflessione sulle ragioni per le quali le commissioni straordinarie non siano state in grado di sanarle”.
Del resto, la mission che il legislatore assegna alle commissioni straordinarie è quella di iniettare nell’organizzazione dei comuni sciolti quegli anticorpi in grado di evitare che quelle infiltrazioni e quei condizionamenti posti a base della misura dissolutoria possano riproporsi dopo il commissariamento.
L’impegno più gravoso in capo alle commissioni consiste nella riscrittura delle regole in quei settori ove il disordine amministrativo e la mancanza di trasparenza nelle procedure hanno favorito la permeabilità dell’ente alle ingerenze delle consorterie criminali: intervenire sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, dotare gli uffici che ne sono carenti di responsabili selezionati per concorso pubblico evitando vuoti d’organico che potranno essere coperti in futuro con incarichi fiduciari, organizzare e attuare la formazione del personale, scrivere le regole per la concessione di contributi, aiuti e sovvenzioni, riorganizzare la riscossione delle entrate, digitalizzare gli atti e i processi migliorando i tempi dell’azione amministrativa, rafforzare il sistema dei controlli interni.
I temi della trasparenza amministrativa e della prevenzione della corruzione, dunque, acquisiscono una particolare importanza nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, sol che si pensi che le diverse mafie -secondo quanto emerge dalle più recenti relazioni del Ministro dell’interno al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla DIA- presentano una sempre più spiccata attitudine imprenditoriale ed affaristica, favorita dalla straordinaria flessibilità e duttilità e dalla capacità rigenerativa, basata sulla sostituzione dell’uso della violenza con linee di azione di silente infiltrazione degli apparati pubblici e dell’economia legale, agevolata dalla continua tessitura di reti e capacità relazionali oltre che dalla disponibilità di ingenti patrimoni.
In tale scenario l’uso della corruttela è essenziale in quanto consente alle organizzazioni criminali di conseguire, inquinando le competizioni elettorali, le utilità offerte dal comparto pubblico.
Tenendo conto di tali premesse, deve concludersi -scrive la Commissione- “che la mancanza di attenzione alla trasparenza e alla prevenzione dei fenomeni corruttivi non sia accettabile in quelle realtà amministrative la cui pregressa attività è stata inquinata e condizionata e che si cerca di ricondurre alla legalità attraverso l’azione delle gestioni commissariali” [2]. Sappiamo quanto la trasparenza abbia assunto un significato “quasi religioso” nel dibattito sulla governance e l’assetto delle istituzioni: essa è insieme garanzia di diritti, parte della buona amministrazione, pilastro dell’anticorruzione, componente di un’amministrazione aperta, presupposto della partecipazione del cittadino [3].
E per quanto dobbiamo convenire con Christopher Hood che, come per le altre nozioni di natura quasi religiosa, “trasparency is more often preached than practiced” [4], non possiamo non evidenziare che la trasparenza è spesso utilizzata come arma retorica “to promise political and social redemption” [5].
Eppure, non può non destare preoccupazione quanto rilevato dalla Commissione antimafia circa il livello di implementazione della trasparenza nei comuni che sono gestiti direttamente dallo Stato per una sorta di sospensione della rappresentanza locale risultata inquinata da infiltrazioni e condizionamenti mafiosi. Se è vero, come diceva Weber, che il potere reale non si manifesta nei discorsi parlamentari né nelle dichiarazioni di chi ci governa, bensì nel manovrare l’amministrazione nella vita quotidiana, pare che gli effetti in periferia delle dinamiche della burocrazia non cambiano a seconda che gli enti siano guidati da politici eletti oppure da funzionari statali che tradizionalmente controllano e sanzionano l’operato dei comuni.
E’ di particolare interesse l’annotazione contenuta nella Relazione secondo cui “nella gran parte delle relazioni di fine mandato redatte dalle Commissioni straordinarie…non è stata riportata alcuna informazione sul grado di popolamento della pagina “amministrazione trasparente”, mentre “uno degli obiettivi prioritari delle gestioni commissariali dovrebbe essere quello di garantire l’osservanza delle disposizioni dettate dalla legge 190/2012 e dal d.lgs. 33/2013”: né può ignorarsi il dato negativo relativo all’organizzazione e all’utilizzo dell’accesso civico.
Ma le risultanze del lavoro della Commissione offrono ulteriori spunti di riflessione. E’ stato rilevato che nei comuni oggetto di osservazione è emersa la “mancanza di stabilità e continuità nell’incarico di Responsabile per la prevenzione della corruzione e trasparenza, figura che è fondamentale per riaffermare i valori della legalità”.
La Relazione segnala, infatti, che in diversi comuni sciolti per mafia il ruolo di segretario comunale, cui ordinariamente è affidato l’incarico in questione, è svolto a scavalco o con reggenza temporanea; viene segnalato addirittura che in un comune mancava un segretario titolare da oltre 10 anni: “è superfluo sottolineare che si tratta di una condizione che non aiuta la gestione commissariale a far rientrare il Comune nell’alveo della normalità”. Le diffuse criticità riscontrate sull’implementazione delle politiche di prevenzione della corruzione inducono la Commissione ad auspicare “che siano poste le condizioni affinchè il RPCT possa effettivamente svolgere le funzioni che le norme gli affidano”.
Se appare condivisibile l’auspicio secondo cui “occorre ripensare funditus alle norme che presidiano la figura del segretario comunale… assicurandone l’effettiva indipendenza dall’organo politico”, tema oggetto di dibattito da oltre un decennio con scarse risposte da parte del legislatore, non si comprende come si intendono garantire “le condizioni perché (il segretario) possa svolgere, oltre i compiti fondamentali propri del ruolo, anche le gravose incombenze che l’ulteriore ruolo di Responsabile per la prevenzione della corruzione comporta”.
La questione non riguarda solo il superamento dell’incarico a scavalco assicurando ad ogni ente locale un segretario comunale che eserciti il proprio ruolo stabilmente.
Le criticità rilevate dalla Commissione pongono il tema della formazione del segretario comunale a svolgere anche il ruolo di responsabile della prevenzione della corruzione, oltre che il tema delle risorse umane, strumentali ed economiche necessarie ad implementare le politiche pubbliche in tali settori in coerenza con le indicazioni del PNA e, quindi, in ultima analisi ci interrogano sulla sostenibilità ed efficacia dell’attuale sistema di prevenzione della corruzione.
Dalla Relazione emerge che molti Piani di prevenzione della corruzione sebbene approvati non risultano adeguati nonostante il Rpct abbia dato atto di aver introdotto misure adeguate non solo a “neutralizzare o quanto meno a limitare” il rischio di corruzione ma anche le infiltrazioni della criminalità: affermazioni smentite dall’intervenuto commissariamento.
I piani analizzati, inoltre, non contengono una verifica di sostenibilità delle misure generali e specifiche, mentre nel 78% dei comuni esaminati non sono registrati eventi corruttivi, la misura della rotazione del personale non è praticabile (per carenza di personale) o non è oggetto di programmazione, ed infine c’è scarsa attenzione alla formazione che pure costituisce una delle più efficaci misure contro la corruzione amministrativa.
A fronte di ciò, e della constatata scarsa qualità delle relazioni annuali del Rpct, la Relazione evidenzia l’opportunità “di prevedere disposizioni più incisive al fine di assicurare che all’atto dell’insediamento la commissione straordinaria garantisca l’effettiva predisposizione del Ptpc” e l’aggiornamento negli anni successivi.
Ma cosa si intende per effettiva predisposizione del Ptpc? L’interrogativo apre il tema della formazione specialistica in capo al responsabile della prevenzione della corruzione e ai dirigenti/responsabili dei servizi sulle tecniche di risk management: la effettiva predisposizione del Piano implica la coerenza del processo e del prodotto con le regole di gestione del rischio contenute nell’allegato 1 al PNA 2019 e, quindi, la conoscenza e padronanza di tecniche per l’analisi di contesto interno ed esterno, e per l’analisi ed il trattamento del rischio [6].
L’art. 1, comma 11, della legge 190/2012 affida la formazione specialistica su tali tematiche alla Scuola Nazionale di Amministrazione; eppure, nei comuni oggetto di esame da parte della Commissione antimafia, nessuno dei Rpct risulta aver partecipato ai corsi della SNA; e, più, in generale può dirsi che una solo minuscola parte del vasto mondo delle autonomie locali fa ricorso alla SNA per la formazione del Rpct, anche perché tale formazione è a titolo oneroso, a differenza di quella impartita ai dipendenti delle Amministrazioni centrali.
Questa appare come una grave criticità del sistema. In assenza della conoscenza, da parte del management locale, delle norme tecniche per la gestione del rischio corruttivo, appare difficile che possano essere prodotti piani anticorruzione efficaci. Più in generale, però, si pone il tema della sostenibilità del modello diffuso di anticorruzione oggi vigente, il quale implica che tutti gli enti sono tenuti ad applicare le stesse regole (complesse), ad attuare tutti gli adempimenti previsti dalla normativa, ad organizzare sistemi di monitoraggio dei piani e di controllo di efficacia delle misure.
Ha scritto Marco d’Alberti che “la corruzione delle persone trova alimento nelle disfunzioni degli elementi strutturali di una società o di un sistema istituzionale [7]”; un obiettivo della prevenzione della corruzione deve consistere, dunque, nella riduzione significativa di quella che è chiamata “corruzione oggettiva”, cioè il degrado delle istituzioni, il cui aspetto più rilevante è la scarsa qualità delle regole, il disordine normativo che insidia la rule of law, intesa come supremazia della legge e del diritto e come buon livello di osservanza delle leggi, cui si aggiunge il pervasive red tap, cioè la burocrazia ingombrante, intesa come sovrabbondanza di procedure e adempimenti, che rendono le decisioni pubbliche più difficili e le espongono a pressioni e condizionamenti.
Tutto ciò deve interrogarci sul peso della “burocrazia dell’anticorruzione” nell’efficacia delle politiche di lotta alla maladministration. A che serve il piano di prevenzione della corruzione? E’ utile investire risorse sulle politiche di prevenzione della corruzione? Secondo Alain Badiou “la società è corrotta dalla A alla Z”. Si potrebbe sostenere persino che la corruzione sia la sua legge intima, e che è per dissimulare questa corruzione sistemica, e certamente reale, che lo scandalo designa ciò che è, alla fine, una sorta di capro espiatorio. In una società che accetta apertamente, esplicitamente e in maniera, bisogna dire, largamente consensuale che il profitto sia il solo motore efficiente per fare funzionare la collettività, possiamo dire che la corruzione è immediatamente all’ordine del giorno. Perché se guadagnare più danaro possibile è la norma, diventerà difficile dire che non è vero che tutti i mezzi sono buoni [8]”.
A prescindere dalla adesione all’impostazione filosofica ed economica, che auspica un ribaltamento del modello su cui sono fondate le società moderne, la posizione del filosofo francese mette a nudo i rischi dell’attuale sistema di prevenzione della corruzione, che tenta di porre rimedio a singoli episodi che vengono presentati come un’eccezione ignorando la sistematicità del problema.
Occorre, dunque, una semplificazione dell’attuale sistema dell’anticorruzione, puntando sulla promozione della buona amministrazione che passa dalla qualità delle regole, dalla riduzione degli adempimenti, dal rafforzamento dei controlli (auspicabilmente reventivi), cioè dalla rimozione delle condizioni di rischio del sistema: cambiare le persone o sanzionarle non elimina le condizioni di rischio sottostanti all’evento corruttivo; altre persone nella stessa situazione potranno commettere la stessa azione corruttiva [9].
Sotto tale profilo, non può non condividersi quanto enunciato nel PNRR nella sezione relativa alle riforme abilitanti, in materia di anticorruzione e trasparenza: “La corruzione può trovare alimento nell’eccesso e nella complicazione delle leggi. La semplificazione normativa, dunque, è in via generale un rimedio efficace per evitare la moltiplicazione di fenomeni corruttivi. Vi sono, in particolare, alcune norme di legge che possono favorire più di altre la corruzione. Si rende, dunque, necessario individuare prioritariamente alcune di queste norme e procedere alla loro abrogazione o revisione.”.
La sfida è quella di passare dalle enunciazioni ai fatti.
[1] La Relazione è allegata al resoconto sommario n. 178 della seduta del 26.4.2022, scaricabile a questo link.
[2] Va sottolineato che il tema della trasparenza come strumento di recupero alla legalità dei contesti condizionati dalla mafia non è nuovo, in quanto nel dibattito parlamentare relativo alla conversione del decreto-legge n. 164/1991, con cui fu introdotto l’istituto dello scioglimento, venne richiamata l’attenzione sull’importanza della trasparenza e sulla necessità di assicurare il diritto di controllo effettivo da parte del cittadino: cfr, intervento del senatore Vetere nella seduta pubblica del senato del 18 luglio 1991, n.552, pag. 10, reperibile al seguente link.
[3] Per una ricostruzione sistematica del concetto di trasparenza amministrativa, cfr. E. CARLONI, Il paradigma della trasparenza. Amministrazioni, informazione, democrazia. Bologna, 2022.
[4] così, in Transparency in historical perspective, British Academy Scholarship, 2006
[5] M. FENSTER, The Opacity of transparency, in Iowa Law Review, 91, 2006, p.889
[6] Il PNA 2019 ha adottato per la governance del rischio corruttivo il modello delle tre linee di difesa (The 3 lines of defense in effective Risk Management and Control); mente il sistema di gestione del rischio è modellato sullo standard ISO 31000:2018.
[7] Cfr. Corruzione, Treccani (Voci), 2020
[8] A. BADIOU, Alla ricerca del reale perduto, Mimesis, 2016. L’autore, evidenziando che la vera norma su cui si basa la società è quella del profitto, afferma che “si potrebbe ribattere che delle leggi esistono, ma si comprende bene che tutto ciò è necessario perché la configurazione generale e permanente delle cose, vale a dire la figura del reale alla quale ci appoggiamo, si perpetui. E’ per questo che di tanto in tanto è necessario che ci sia uno scandalo, non certamente come disvelamento de reale, ma come messa in scena di un pezzetto di reale stesso nel ruolo di una eccezione al reale”.
[9] Cfr. M. CATINO, Trovare il colpevole. La costruzione del capro espiatorio nelle organizzazioni, Bologna, 2022, pp. 153 e ss.
Fonte: articolo di Vito Antonio Bonanno, segretario generale del comune di Alcamo